Il teatro come ambiente di apprendimento nelle scuole, nelle comunità e nelle organizzazioni. Il Learning Coaching come strumento.
La definizione di coaching più semplice ed efficace è quella usata da Daniele Mattoni nella premessa al suo libro “Gli 8 passi per apprendere ad apprendere”: aiutare le persone a diventare ciò che sono. Questa, per il lettore ancora scevro di informazioni, può sembrare una definizione atta a rendere realizzabile in breve tempo un percorso che così presentato può apparire di facile definizione. Sappiamo invece essere una frase, un pensiero, un vero e proprio obiettivo, che elaborato dai più celebri pensatori dell’antichità ha lasciato, a chiunque ne percepisca l’esortazione, una eredità da gestire tanto stimolante quanto impegnativa. Chi siamo. Come diventare ciò che siamo.
Partendo da Socrate e attraversando epoche e territori la riflessione sulla definizione del sé si è arricchita grazie a teorie, studi e strumenti provenienti da discipline, religioni e arti diverse fra le quali certamente al Teatro spetta un ruolo centrale.
Riferendoci, infatti, alla sola storia del teatro del Novecento è facile individuare come l’impegno dei grandi maestri — da Stanislavjki a Grotowski e Mejerchol’d — si sia soprattutto focalizzato su aspetti altri che vedevano la rappresentazione finale (quando presente) come parte e non fine. Il teatro come entità viva oltre lo spettacolo. Indipendente dalla performance. Le tecniche usate pregne di psicanalisi, antropologia, analisi bioenergetica insieme alla necessità di liberare l’attore dalle regole, schemi, credenze della cultura in cui è vissuto per riappropriarsi della propria natura, quella istintiva. E a questo percorso si sono aggiunte da allora fino ad oggi tecniche orientali, dello yoga, delle arti marziali, della meditazione e di tutto ciò capace di contribuire a trasformare il perfezionamento dell’arte dell’attore in occasione di crescita personale. Perché l’attore prima ancora di scegliere che tipo di teatro fare deve esserci, avere presenza, vera e propria consapevolezza di sé. Nel frattempo il teatro — come un liquido in una bottiglia troppo piena — è traboccato dai palchi per allargarsi a macchia d’olio fino a giungere in quei luoghi che necessitavano di essere annaffiati con nuova sostanza: carceri, ospedali, comunità, scuole.
Tecniche dunque pensate per l’attore si sono rivelate utili per la formazione della persona. Ecco perché continua a essere necessario il teatro. Perché – come racconta il drammaturgo e regista Gabriele Vacis – il teatro è il luogo in cui chi parla può ascoltare chi ascolta. E in cui chi ascolta è presente nello stesso tempo e nello stesso spazio di chi parla. In quell’ascolto reciproco accade il teatro, nella relazione tra le persone. Il teatro è il luogo in cui chi parla e chi ascolta possono essere autori, insieme, dell’accadimento. Questo insieme è l’ambiente che quindi si può concretizzare ovunque esista relazione.
Partendo da queste riflessioni dalle quali la mia professione di formatrice e il mio impegno in ambito teatrale attingono linfa ogni giorno ho provato a portare negli anni elementi dell’una nella cornice dell’altro, mischiare le tecniche, proporre training per attori nei corsi di leadership e teorie sociologiche nei laboratori teatrali. La sede di lavoro (che condivido con i miei colleghi di ArTeMuDa[1]) è divenuta palestra ove allenare le competenze relazioni, manageriali, sociali e il teatro di cui è impregnato ogni muro ha continuato a prestarci le tecniche migliori.
Dove c’è relazione esiste un ambiente atto a sviluppare la relazione stessa. Un ambiente che può essere una scuola, una sessione di coaching, una seduta dallo psicologo, una consulenza di orientamento, una cella, un ospedale e chiamiamo teatro.
“Attori” che sono educatori, animatori, insegnanti, coach, formatori da una parte e protagonisti del cambiamento (pazienti, coachee, studenti) dall’altra in un flusso continuo di apprendimento reciproco. Un apprendimento che a volte avviene per semplice osservazione/acquisizione di nozioni teoriche (learning by absorbing/apprendimento intellettuale) più spesso va guidato, accompagnato, incoraggiato con i mezzi più idonei. Così la disciplina teatrale si presenta fra i più potenti strumenti di stimolo in percorsi sociali ma al tempo stesso, in un periodo di continui mutamenti, il teatro che per sua natura accoglie, si modella, si trasforma per agire al meglio necessita di nuove contaminazioni, spunti, metodi. In quest’ottica dunque professionisti del sociale e attori si scambiano ogni giorno conoscenze, si cercano e si incontrano su un terreno comune legato all’obiettivo ultimo: la crescita/cura di sé e dell’altro.
La mia ricerca si inserisce dunque in questo filone grata al teatro che continua a prestarmi i metodi migliori nell’esercizio della professione di docente coach (anche in ambito executive) e desiderosa di declinare in contesti diversi (soprattutto teatrali) modelli provenienti dal coaching per aggiungere materiale utile al lavoro di consapevolezza, per stimolare un profondo e reale apprendimento di ciò che si sta agendo o osservando e contribuire ad allenare il potenziale di apprendimento di ognuno attraverso il gioco e la creatività.
Fare teatro senza nominare la parola teatro.
Questo ci è stato richiesto in un recente laboratorio con donne vittime di tratta che ho curato – insieme a Roberto Micali[2] – per il Gruppo Abele. Ed è una frase che nella sua semplicità continua a lavorare dentro di me.
Fare coaching senza nominare il coaching.
Questo, invece, è ciò che mi sono trovata a fare, forse per deformazione professionale, ove non era previsto. A volte per istinto, a volte per un chiaro bisogno di chi con gli occhi chiedeva di andare oltre, di essere guidato alla scoperta di qualcosa sentita in superficie, di essere accompagnato dentro se stesso. È successo in laboratori di Training Assertivo con tecniche di Teatro Forum[3] – condotto sempre con Roberto Micali – dove a un tratto ci siamo dovuti interrogare se potesse essere utile accogliere il desiderio di scendere in profondità che arrivava dal gruppo e uscire in parte dalle logiche stesse della tecnica teatrale in uso costruita soprattutto sull’osservazione e azione. È successo in alcune scuole o di fronte specifiche platee in seguito a spettacoli di teatro civile dove cogliendo alcune espressioni facciali perse fra il pubblico abbiamo sentito forte il desiderio di iniziare un viaggio finalizzato ad un apprendimento in senso ampio ma le condizioni lo impedivano.
Si dice che ogni individuo sia libero di cogliere il messaggio desiderato in una performance. Quello di cui necessita. Non sempre sono d’accordo. Percepisco, in alcuni contesti, una chiara responsabilità su quel messaggio. Sento spesso la mancanza di un pezzo. Avverto uno spazio che rimane vuoto. Richieste non accolte. Riconosco come il teatro aggiunga sempre valore a qualsiasi tipo di relazione di crescita ma a volte lo spettacolo da solo non basti. E proprio in quei luoghi in cui non basta serve una proposta specifica e strutturata che accompagni l’utente, il fruitore, lo spettatore, all’elaborazione e forse “metabolizzazione” dell’esperienza vissuta. Tenendo presente dunque che in ottica di apprendimento esperienziale, secondo il modello di Honey, alla fase dell’esperienza seguono la riflessione, la valutazione e la pianificazione se la prima è rappresentata dallo spettacolo in alcuni contesti occorre almeno arrivare alla seconda.
Va da sé che stiamo parlando di teatro sociale e civile[4] e non di intrattenimento. Nella mia vita finora diverse sono state le
situazioni che mi hanno portato in contesti vicini al teatro sociale ove ho inserito il coaching (quando adatto o integrandolo con altri metodi) come strumento di conoscenza ma solo poche volte ho potuto realmente mettere insieme forme di teatro civile con momenti di riflessione collettiva guidata da coach, psicologi o educatori. Fra quelle più significative cito la rappresentazione Come Acqua sulle ali di un’anatra all’interno di Expo2015 sulla questione di genere, curata e interpretata da me e dall’amica psicoterapeuta Silvia Mascolo, a cui sono seguiti laboratori di group coaching incentrati sulle emozioni emerse durante la fruizione. Una seconda in una serata organizzata da Terzo Orecchio – Psicologi a Torino e dall’associazione Hermea con al centro Il Dio del Massacro riadattato e interpretato con i colleghi di ArTeMuDa in cui una storia apparentemente leggera, in realtà ricca di stimoli, si apriva ad un confronto con il pubblico sapientemente condotto da esperti. Infine l’esperienza emotivamente più intensa realizzata presso il carcere minorile Ferrante Aporti di Torino dove sempre con ArTeMuDa abbiamo restituito una versione ridotta dello spettacolo Le donne forti danzano scalze sulla violenza contro le donne. Fisicamente in mezzo a giovani detenuti abbiamo sentito i loro respiri, le loro ansie, paure, voglia di essere presi per mano. Bisogni accolti da chi era lì in vesti diverse che ha facilitato l’esperienza nell’esperienza. Così alle emozioni ognuno ha dato una risposta individuale provando a tradurle in comportamenti altri. La visione – emotivamente potente – da sola sarebbe stata insufficiente o addirittura controproducente.
Proprio Le Donne Forti Danzano Scalze spettacolo più replicato nella storia di ArTeMuDa, creato in collaborazione con Amnesty International, si presta a queste considerazioni. Storia di cinque donne vittime di violenze di diverso tipo diventa rappresentazione universale in cui chi osserva può ritrovarsi in una o in tutte le vicende così come ogni uomo può individuare tratti di sé nei diversi oppressori.
La valanga di sensazioni prodotte attraverso la mera osservazione è bastante ad orientare una riflessione in buona parte di pubblico maturo. Vale lo stesso per gli adolescenti? Per un pubblico non pronto? E quanto si potrebbe ottenere in alcuni ambienti con una proposta strutturata che utilizzi tecniche mirate di apprendimento dell’esperienza vissuta?[5]
Una risposta chiara arriva da due recenti interventi in scuole di Torino in cui sono stati portati in scena gli spettacoli Storia di Bimba e Vivere in Piedi. Nel primo caso Roberto Micali raccontando in forma teatrale una reale vicenda di violenza assistita è riuscito a coinvolgere i ragazzi presenti al punto da richiedere loro stessi a gran voce il desiderio di rimanere sull’argomento, di lavorarci, di entrarci totalmente. Il monologo, come deve essere, ha agito da elemento scatenante. Poi l’emerso è stato ordinato, scardinato, contestualizzato, appreso, fatto proprio. In una parola fissato lasciando un’impronta importante al punto di essere scelto da qualcuno come tesina di maturità. Nel secondo una rappresentazione legata alla vita straordinaria di Teresa Noce[6] con la regia di Alberto Barbi[7] è stata presentata come strumento di conoscenza storica e apprendimento dei passaggi fondamentali della storia del secolo scorso e al tempo stesso dei valori diffusi dalla protagonista. Il momento di chiusura è stato dedicato alle domande da porre agli attori. Proprio lì, invece, mi sarebbe piaciuto togliere i panni dell’attrice e propormi nella versione learning coach per invertire il processo. Le risposte migliori sarebbero uscite da loro. O per lo meno quelle che realmente sarebbero servite. C’è chi sostiene non sia compito del teatro ed è vero. È compito di chi utilizza il teatro per fini altri o oltre ad essere attore è anche altro.
Il potere del teatro è anche quello di creare dissonanze cognitive. Quello dell’insegnante, del coach, dell’educatore stimolarle ulteriormente, avviare un confronto libero, lasciare esprimere e canalizzare l’energia raccolta. Non farla disperdere.
In sintesi può essere utile, in alcuni casi, replicare con il pubblico — seppur con le dovute distinzioni — il lavoro stesso dell’attore durante la creazione. Periodo tra l’altro in cui si inserisce di nuovo in modo calzante un approccio di tipo learning in quanto stimolatore sia delle dinamiche di apprendimento delle tematiche da restituire (comprendere per aiutare a comprendere) sia dello sviluppo del potenziale di apprendimento di ognuno. Torno all’esempio di Vivere in Piedi in cui come attori e attrici abbiamo svolto una ricerca certamente storica e di immedesimazione ma soprattutto introspettiva aiutandoci con mezzi diversi per rispondere a domande come: quali dei valori individuati risuonano in te? Cosa vedi di te stesso in Teresa Noce? Cosa avresti fatto tu in quella situazione? Come l’esperienza di Noce può aiutarti in futuro? Domande familiari ad ogni coach le cui risposte emergono in maniera chiara all’interno della performance stessa.
Senza entrare nello specifico dei modelli, esercitazioni, strumenti del Learning Coaching (su cui potete informarvi ampiamente qui) quelle espresse in questa breve relazione sono da una parte prime riflessioni dall’altra una succinta selezione dei diversi ambiti in cui teatro e coaching possono dialogare in ottica di apprendimento. Partendo dall’assunto che le attività ludico-esplorative, il gioco e l’esercizio della creatività agiscono sempre da leva potenziante per aumentare la motivazione interna, operano su un apprendimento profondo attraverso il senso di piacere e raggiungono obiettivi di padronanza del contenuto trattato, un lavoro completo in tal senso mira ad inquadrare e approfondire i punti di contatto fra le due discipline per fornire altri strumenti utili ad attori, professionisti del sociale, dell’insegnamento e delle organizzazioni.
Esempio di LABORATORIO PER STUDENTI di Learning Coaching con l’ausilio di tecniche e forme teatrali diverse.
Un laboratorio di Learning Coaching con l’ausilio di tecniche e forme teatrali diverse è rivolto a scuole, comunità, associazioni, carceri, ospedali, case di cura, centri di accoglienza ed è finalizzato all’apprendimento profondo di tematiche sociali e civili scelte sulla base dell’offerta e/o dei bisogni della Committenza. È strutturato in momenti diversi modificabili a seconda del contesto, pubblico e/o esigenze particolari.
- Sensibilizzazione: fruizione spettacolo di teatro civile (storico, su temi sociali, questioni di genere, ambiente etc) o breve laboratorio teatro sociale specifico (es. stereotipi, pregiudizi, violenza, bullismo ma anche nuove professioni, orientamento etc.). Qui puoi trovare delle proposte.
- Riflessione individuale attraverso una o più domande legate all’esperienza condivisa.
- Momento di scambio e condivisione con restituzione in plenaria.
- Raccolta e consolidamento delle riflessioni condivise attraverso la facilitazione Learning Coach/insegnante.
- Riflessione individuale e creazione di un elaborato finale.
[1] ArTeMuDa acronimo di Arte Teatro Musica Danza è l’associazione di promozione sociale di cui faccio parte dal 2009 partecipando e creando spettacoli.
[2] Attore e speaker internazionale. Co-fondatore di ArTeMuDa.
[3] È una delle principali tecniche del Teatro dell’Oppresso ideato dal drammaturgo brasiliano Augusto Boal.
Il metodo generale è caratterizzato dagli stessi fini della Pedagogia degli Oppressi di Paulo Freire, ovvero umanizzare l’uomo mediante il dialogo, avviare processi di coscientizzazione attraverso cui le persone passano dalla coscienza ingenua e fatalista, dove non si ha il potere di intervenire sul mondo, alla coscienza critica che si rende conto che la società e i suoi elementi sono creati dall’uomo e quindi possono essere cambiati. Il Teatro-Forum, emblematicamente, permette allo spett-attore di entrare in scena e sostituirsi al Protagonista o a suoi alleati, per tentare dei cambiamenti, per migliorare la situazione presentata inizialmente.
[4] Il “Teatro Sociale” accade quando viene attuato in un contesto sociale con un obiettivo sociale/educativo: attivare la crescita del singolo, del gruppo e della loro relazione con il contesto (ambiente, relazioni, famiglia, lavoro, ecc.) attraverso la pratica del laboratorio teatrale e la creazione o meno di un atto comunicativo finale (esito/spettacolo) che coinvolga tutti i partecipanti e un pubblico. Il fine è il percorso stesso. Forzando le differenze per “teatro sociale” si intende quello realizzato da e con utenti (“attori” quasi mai professionisti) con problematiche sociali, fisiche e/o psichiche o in contesti difficili mentre per “teatro civile” quello realizzato da attori professionisti che trattano tematiche di impegno civico (storiche o sociali) il cui fine principale è lo spettacolo e le eventuali reazioni del pubblico non il percorso in sé. A volte teatro sociale e civile coincidono.
[5] Esiste già in tal senso una proposta per le scuole chiamata Violenza del pensiero ad oggi non ancora realizzata.
[6] Nata a Torino nel 1900. Partigiana, combattente, Madre Costituente, sindacalista.
[7] Regista, drammaturgo e attore torinese.