Le donne della mia quarantena. Libri “resilienti” in tempi di reclusione.
La lunga quarantena dovuta all’emergenza Covid-19 ci ha obbligato a rimanere chiusi in casa per contenere, quanto più possibile, il virus. Nel rispetto della sofferenza che pulsava fuori e dopo i primi giorni di riorganizzazione chi di noi — appassionate lettrici e voraci lettori — non ha colto la forzata reclusione come occasione per terminare i romanzi iniziati da un po’, leggere quel classico che aspettava da tempo, provare a sondare generi poco battuti, gettarsi nella biografia di qualche scrittore sconosciuto? Ci siamo ritrovati più del solito a oltrepassare frontiere aperte e spingerci verso paesi nuovi, ascoltare voci senza mascherine, stringere mani e abbracciare vite superando le distanze imposte. E lo abbiamo fatto senza sentirci in colpa. Del resto non è anche questo il potere dei libri? Accompagnare da sempre l’umanità a rischiarare momenti bui?
I miei giorni sono stati ricchi di testi professionali, saggi, trasmissioni specifiche godute nella penombra del mio studio (Romanzo Italiano, Fahrenheit, Cacciatore di libri per citarne alcuni) e ovviamente di romanzi. Questi ultimi scelti uno dopo l’altro come se fossero legati da un filo invisibile che — solo dopo un po’ e certamente non a caso — mi sono resa conto essere quello della resilienza al femminile. Donne cadute o fatte cadere, risucchiate dalla violenza o lasciate sole a brancolare in un acuto dolore — fisico o psicologico — dal quale riescono a riaffiorare con forza e perseveranza trovando il modo di ridisegnarsi la vita. Con il tratto sicuro delle loro mani e molti libri sul comodino.
Ecco dunque una selezione di libri “resilienti” e la presentazione di alcune figure femminili che hanno riempito giornate in cui — come tutti — ho dovuto fare i conti con novità forti, sradicare abitudini assodate, colmare le assenze e reinventarmi per l’ennesima volta alleggerendo lo sforzo con il ricco esempio di certe storie.
L’educazione di Tara Westover
“Tutti i miei sforzi, tutti i miei anni di studio erano serviti ad avere quest’unico privilegio: poter vedere e sperimentare più verità di quelle che mi dava mio padre, e usare queste verità per imparare a pensare con la mia testa. Avevo capito che la capacità di abbracciare più idee, più storie, più punti di vista era un presupposto fondamentale per crescere come persona”.
L’ educazione è una storia vera, drammatica e di speranza. È un percorso di emancipazione dei giorni nostri stimolato dalle armi più potenti: i libri. Sembra di cento anni fa e invece è di ieri. È allontanamento da convinzioni, ossessioni, disturbi di una famiglia malata di onnipotenza e deliri. È incontri sani di menti illuminate. È un racconto autobiografico di costruzione del sé realizzando e combattendo nemici in carne e invisibili. È rivalsa. È abisso e risalita. È risveglio con gli amici fidati delle pagine lette. Il racconto è di Tara che nasce in una famiglia di mormoni anarco-survivalisti delle montagne dell’Idaho. Con un padre tanto persuasivo quanto folle, una schiera di fratelli – fra cui uno violento – e una madre sottomessa vive isolata occupandosi di erbe guaritrici, rottami da recuperare e conserve da preparare per la prossima fine del mondo. Tutto sembra procedere fra tragedie scampate e il fanatismo dei genitori fino a quando scopre l’esistenza di un’altra realtà. Una rivelazione.
Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin
La voglia di stringere Violette rimane fra le braccia per un po’ così come le lacrime in gola e le risa soffocate. Sfogliare le pagine di questo libro è come guardare la protagonista dalla finestra con il timore o la voglia di venire sorpresi. Guardiana di un cimitero, custode di storie, in bilico costante fra l’anima dei vivi e dei morti, amante dei fiori e delle piccole cose qualora ci vedesse aprirà la porta certo ma dobbiamo promettere di starcene lì ad assecondare i suoi tempi, gli spazi, gli odori, i silenzi, le abitudini che con straziante sofferenza ha ritagliato e incollato sugli abiti scelti con cura. Può essere anche che saremo noi a parlare perché Violette è fatta così. Ascolta, accoglie, cura, annaffia, sceglie e intanto ricostruisce la sua vita devastata annusando la bellezza di ogni dono. Gli amici che si contano su una mano, le lapidi abbellite con piante pulite, le letture scelte, il salvifico orto. Piangiamo e ridiamo con Violette alla quale la vita nulla ha risparmiato mentre passano, si intrecciano, si scontrano figure di morti più vivi che mai e vivi che non sono mai nati. E con loro passiamo dall’apparente felicità delle prime pagine al dolore del passato per tornare alla quiete del cerchio finalmente chiuso. Fili sparsi che la scrittrice sapientemente riannoda permettendoci così di salutare Violette con la pace nel cuore. Consigliatissimo ma armatevi di fazzoletti!
I giorni dell’abbandono di Elena Ferrante
Questo è un romanzo feroce che si legge per buona parte con la rabbia in corpo. Con una voglia sfrenata di scuotere Olga, di pungerla al punto di farle male per tenerla sveglia e vigile. È lei stessa che ce lo chiede rivolgendosi alla piccola figlia. Giovane, serena, realizzata nel perfetto quadro familiare viene buttata in un pozzo senza appigli dall’improvviso abbandono del marito. Con due bambini e un cane a cui badare si perde Olga. Dimentica i confini insieme alle pentole sul fuoco, smarrisce se stessa cercandosi nelle parole che scrive nel desiderio di capire, si involgarisce nel linguaggio e nei gesti, si irrigidisce nei movimenti. Umiliata e colpita nell’orgoglio si ritrova a vagare come sospesa in una Torino per giorni deserta accompagnata dai fantasmi dell’infanzia napoletana. Donne, voci, ricordi la trascinano e sbattono alternando fasci di luce alienanti a brevi percezioni di sé. La caduta è disastrosa ma alla fine si arresta. Un tassello dopo l’altro Olga si ricostruisce. Un lavoro, qualche serata libera e inizia lenta la risalita. Quando è pronta per guardare dall’altra parte della strada, per riconoscere quel marito come è sempre stato, per scoprire il lato affascinante di quell’insulso vicino. E tutto si inverte perché è tempo che accada. Il forte ad un tratto pare insicuro mentre l’impacciato è attento, presente. La cura con garbo, l’aspetta e l’accoglie. E anche in noi la rabbia si placa.
Il giardino di Amelia di Marcela Serrano
“Mi piace tirare tardi, ma soprattutto con i miei libri. O a volte con qualche film in televisione. Sapessi quante vite vivo! Se non leggessi, dovrei farmi bastare la mia vita e per quanto divertente possa essere, è sempre soltanto una. Troppo poco per me’”. Amelia.
Sono tornata dopo anni nel Cile di una delle scrittrici che mi ha fatto più compagnia in un periodo emotivamente faticoso. Terminato in pochi giorni ho sentito presto la nostalgia di Amelia, ricca latifondista proprietaria di una grande tenuta che stringe un profondo legame con Miguel Flores, giovane confinato accusato di attività sovversive dal regime di Pinochet. Il rapporto fra i due – con una grande differenza di età – è ricco di libri, conversazioni, riflessioni sul presente e passato fino a quando l’incantesimo viene spezzato dall’arrivo dei militari. Da qui le storie sembrano prendere definitivamente altre strade se pur un filo esile le tiene insieme includendo vite di donne diverse. Non solo Amelia dunque, forte nel conquistarsi il suo pezzo di mondo e nel resistere alle torture, ma anche la figlia con cui proviamo a dare un senso agli anni bui della separazione e la mentore di entrambe Sybil. Accomunate – forse – da una stessa passione.
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La foto in apertura è tratta dal film “I giorni dell’abbandono” con Margherita Buy.