Spiando Arturo. L’isola di Procida.
Ah, io non chiederei di essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei di essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua.
Elsa Morante, L’isola di Arturo.
Procida. Il nome potrebbe derivare dal greco Prokeitai, che significa “giace” dal momento che pare letteralmente distesa sul mare, oppure da Prima Cyme, “prossima a Cuma”, o ancora dal verbo greco Prochyo, “profondo”. La troviamo nella lotta tra dei olimpici e giganti con uno di questi – Mimante amico di Paride – addormentato negli abissi marini su cui sorge l’isola. Ed è proprio la mitologia greca a prestare una delle chiavi di lettura più affascinanti dell’opera Premio Strega che qui si svolge. Non solo per una sorta di complesso edipico reo di tormentare a sua insaputa il protagonista ma perché – per dirla alla Cesare Garboli – “L’isola di Arturo è una piccola, criptica Achilleide resuscitata. All’eroe, ad Arturo, al guerriero ragazzo dal nome di stella, Arturo-Boote (in realtà, di cognome, il ragazzo fa più procidanamente Gerace) è concesso di vivere soltanto un fulgido mattino, un istante di splendore solare e glorioso, e di viverlo nei termini impossibili di una sfida. […] Destinato a subire una prova, anzi la prova, nato e cresciuto in un’isola, da cui una forza inconscia gl’impedisce di staccarsi, orfano di madre, su cosa può contare il ragazzo, oscuramente, nel suo duro privilegio di solitudine, se non sul conforto, sulla complicità di una materna divinità marina?”.
Elsa Morante iniziò a scrivere il romanzo nel 1955 durante un’estate trascorsa insieme al marito Alberto Moravia nel famoso albergo Eldorado (Via Vittorio Emanuele 225) che all’epoca ospitava nomi di spicco della letteratura italiana, fra cui Vasco Pratolini. L’albergo chiuso dal 1998 è divenuto “Parco Letterario Elsa Morante” per rendere onore all’autrice e dare la possibilità ai visitatori di godere dei “Giardini di Elsa” come i procidani li avevano denominati. Purtroppo per ragioni economiche e diatribe sorte fra il Comune e i proprietari i Giardini oggi sono chiusi e occorre accontentarsi di sbirciare dal cancello e catturare il profumo dei limoni.
Procida con i suoi quattro chilometri quadrati può essere conosciuta in un giorno o un mese, è il luogo adatto in ogni periodo dell’anno e a tutte le età, ci si può imbattere per caso navigando verso Ischia o essere la meta di un viaggio sognato. In ogni modo, qualunque sia il motivo della visita, essa saprà rispondere ai bisogni di ognuno: con le sue spiagge superbe, i sapori di mare, la dolcezza dei fichi e la pace delle piccole vie. Sceglierla però dopo averla esplorata per giorni prima di metterci piede attraverso le parole di Elsa Morante avrà un sapore unico: quello della sfida impossibile da cui Arturo fatica a liberarsi. La prova che permetterà al lettore più attento di sentire il giovane tornare ad ogni sbattere di onda sulla scogliera e vederlo in lontananza risalire per le strade assolate. A petto nudo, certamente, con un paio di calzoni sdruciti e bagnati in attesa di essere asciugati dall’aria.
L’ isola di Arturo è, infatti, la storia di un ragazzo a cui non interessano né vestiti né cibo ma solo imprese eroiche e libertà assoluta. Vive praticamente solo in una casa dal passato singolare alimentandosi di sogni in cui l’eroe è egli stesso o il padre girovago che in uno dei suoi ritorni porta con se la nuova moglie “colpevole”, suo malgrado, di interrompere la fiabesca e rassicurante routine donata dalla natura selvaggia al suo figlio più fidato. Dunque per gli appassionati di letteratura Procida è un gioiello evocativo a cui abbandonarsi, è il grembo materno in cui tornare, è un piccolo paradiso ove menzogna e sortilegio tardano a svelarsi. È infine, ma solo per Arturo, una corsa alla scoperta della vita: l’amore, l’amicizia, il dolore, la disperazione.
La luce di Boote. Cosa vedere.
Arturo si può solo immaginare, fingere di spiarlo, di seguirlo, di riconoscerne l’ombra mentre salta da un masso all’altro, nell’attimo in cui gira l’angolo per sparire. Si può cercare, o meglio sperare, di entrare nel fascio di luce della sua stella.
Se fosse di carne e ossa difficilmente accetterebbe di farci da guida, solitario e schivo com’è, ma – beati noi – la scrittrice lo fa narrare in prima persona con una precisione tale da rendere tutto più facile.
La mia isola ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si estendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali. Ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere. […] Intorno al porto, le vie sono tutte vicoli senza sole, fra le case rustiche, e antiche di secoli, che appaiono severe e tristi, sebbene tinte di bei colori di conchiglia, rosa e cinereo.
Siamo negli anni ’40 e le parole con cui l’abitante più bizzarro di Procida descrive i suoi luoghi potrebbero essere fresche di stampa con l’unica differenza che oggi il rumore dei troppi motori copre tristemente il verso dei mille gabbiani e il canto proveniente dalle gabbie sui davanzali. Tuttavia per trovare il silenzio di cui è intrisa ogni pagina del romanzo basta addentrarsi di poco avendo cura di scegliere le strade meno battute.
L’itinerario letterario si esaurisce in qualche ora di camminata partendo dalla Marina Grande, il porto che accoglie le barche in arrivo abbracciandole con le sue case dai colori pastello, tenui e al tempo stesso vivaci, così che ogni pescatore in passato potesse riconoscere la sua dal mare. Una passeggiata fra le stradine strette e ripide porta ove probabilmente sorgeva la Casa dei Guaglioni individuabile grazie alla traccia lasciata dal ragazzo e dove oggi spicca l’albergo “La Vigna”, fra i migliori dell’isola.
[…] Dal tetto della casa si può vedere la figura distesa dell’isola, che somiglia a un delfino; i suoi piccoli golfi, il Penitenziario e, non molto lontano, sul mare, la forma azzurra-purpurea dell’isola di Ischia
Uno dei luoghi più suggestivi è senz’altro il Porto della Marina di Corricella che con le sue tipiche dimore variopinte, le reti attorcigliate e le barche a pelo d’acqua conserva il fascino del piccolo borgo di pescatori che fu. Qui, nella locanda che porta il nome del film, furono girate alcune scene de “Il Postino” con l’indimenticabile Massimo Troisi. La sosta è consigliata sia perché, come un piccolo museo, conserva foto e oggetti – fra cui la borsa in pelle – della pellicola sia per i piatti della tradizione locale dai prezzi assolutamente accessibili così come sul resto dell’isola.
Risalendo dalla Corricella si raggiunge la contrada di Terra Murata, il punto più alto, con un incantevole panorama su tutto il Golfo. Il percorso, con tappa all’ex carcere, possiede un alone romantico perché simbolicamente nell’opera diventa la strada dello svelamento, del non ritorno, della disillusione. Il ragazzo quasi come atto finale affronta la salita con ancora viva la convinzione che nel penitenziario siano rinchiusi uomini dotati di qualità eccezionali, idealizzati come eroi sottratti alla vita ordinaria e per questo meritevoli di destare la sua curiosità. Egli parteggia per loro considerando la reclusione un atto mostruoso pari alla morte. L’uomo che un giorno intravede scortato dalle guardie, però, contribuirà prima a nutrire il suo immaginario ricco di grandi avventurieri e poi la sua delusione rivelandogli, una volta liberato, la mediocrità della vita paterna fino allora creduta meravigliosa. Un padre – Wilhelm – che non è altro che un poveretto tanto bisognoso di affetto da cercarlo oltre le grate della prigione sperando che la sua voce disperata arrivi a quel Tonino Stella che da lì a poco distruggerà le convinzioni di Arturo fornendo altre ragioni a quel mondo disincantato che si sta formando nella sua testa. Senza parlarne esplicitamente Elsa Morante dunque, fra i tanti, mette anche in scena temi delicati quali l’omosessualità e la misoginia, l’una accennata, da cogliere, l’altra esplicita in tutto il romanzo.
Inerpicarsi verso Torre Murata, partendo dalla Piazza dei Martiri di fronte al Santuario Santa Maria delle Grazie, seguendo frettolosamente Arturo che a sua volta cerca di non perdere d’occhio il padre è l’emozione più intensa che possiamo regalarci.
Come giunsi alla terrazza, vidi a pochi metri da me, mio padre, […] egli non si accorse di me. […] Da lì a poco egli si mosse e si internò sotto l’arcata della porta. Allora, anch’io, prendendo un passo strascicato per mantenermi distaccato da lui, mi avviai nella stessa direzione.
È l’inizio di un commovente inseguimento fra il borgo, le alture della rocca, mucchi di pietre e ruderi con lo sfondo del Palazzo Reale (o Palazzo d’Avalos) che avrà come fine la scoperta dell’umiliazione di un padre da quel momento – se possibile – ancora più amato.
L’incontro con Graziella.
Scendemmo con un passo leggero le ripide strade di Procida. Presto, giungemmo alla marina. In tal modo si chiama, in tutto l’arcipelago e sulle coste italiane, la spiaggia vicino alla rada o al porto. La spiaggia era gremita di barche di Ischia, di Procida e di Napoli […]. I marinai e i pescatori dormivano al sole, al rumore sempre più tenue delle onde o chiacchieravano, in gruppi, qua e là sul molo.
Procida è dunque molto Arturo, ma non solo. Un altro romanzo, infatti, ci ha lasciato un affresco risalente ad un periodo precedente e nonostante questo in linea con le descrizioni morantiane a dimostrazione di quanto l’isola più piccola del golfo napoletano resista all’aggressione del tempo. È Graziella di Alphonse de Lamartine, poeta francese che nel 1812 si fermò nella preziosa perla per 14 mesi durante il classico itinerario del Grand Tour. Qui conobbe e si innamorò di una giovane orfana che viveva con i nonni e i fratelli e, più tardi, sarà la protagonista del romanzo autobiografico dal finale non lieto.
La bella procidana, di cui non è rimasta testimonianza che in un quadro, è stata lo spunto per ricreare nel Museo Casa Graziella gli interni tipici di una casa del 1800. La visita al secondo piano del Palazzo della cultura (Ex conservatorio delle orfane) prima di scendere da Terra Murata è una buona chiusura letteraria prima di concedersi alle acque cristalline delle splendide spiagge, grotte e calette che abbandonano lungo tutta la costa.